domenica 26 settembre 2010

Adro, il dramma del sindaco ultrà scaricato da Bossi

Quello di Adro ormai non è più un caso politico: è un caso umano. Il caso di Danilo Oscar Lancini, nato a Rovato 45 anni fa, titolo di studio licenza media inferiore, ex imprenditore specializzato negli spurghi, sindaco di Adro dal 2004, rieletto nel 2009 con un quasi plebiscito: 62 per cento.

Oscar Lancini ha da tempo vinto (scusate il penoso gioco di parole) l’oscar di ultrà all’interno di un partito, la Lega, dove gli ultrà non solo abbondano ma non fanno neppure nulla per nascondersi. Prima ha istituito la taglia di 500 euro per i vigili urbani che stanano i clandestini. Poi ha mandato a mangiare a casa i bambini figli di genitori (quasi tutti immigrati) morosi nel pagare la retta della mensa scolastica. Quindi, da settembre, ha preso direttamente in carico – come Comune – la gestione della stessa mensa scolastica e ha deciso che possono sì mangiare tutti, ma solo un menù padano, il che ha fatto infuriare gli immigrati, che ieri si sono rivolti al presidente della Repubblica Napolitano, costretti a scegliere se mangiare maiale o digiunare.

Infine il capolavoro: ha decorato il nuovo polo scolastico del paese (intitolato a Gianfranco Miglio, tanto per essere super partes) con settecento Soli delle Alpi, quelli che stanno al centro del simbolo elettorale della Lega.

Quest’ultima bravata ha provocato il pandemonio che sappiamo. E appunto ha assicurato a Lancini il primato fra gli ultrà della Padania. Perché, per capirci: erano pesanti anche le parole di Bossi sul tricolore usato per pulirsi il sedere; erano sconvenienti anche le strofe cantate dall’europarlamentare Matteo Salvini (“Senti che puzza/ scappano anche i cani/ stanno arrivando i napoletani”): ma verba volant. I Soli delle Alpi invece restano. E restano su una scuola pubblica.

Ecco perché il caso Adro è diventato un caso umano. Perché neppure i leghisti possono difendere il loro sindaco tanto zelante. Anzi sono in imbarazzo. L’ex sindaco di Brescia, Paolo Corsini, ora deputato del Pd, ha presentato un’interrogazione al ministro degli Interni Maroni (l’unico, per legge, che può ordinare al sindaco di rimuovere quei Soli): e Maroni è chiaro che ora è in difficoltà. Perfino il grande capo, Bossi, è seccato: Lancini, credendo di fargli piacere, ha strombazzato ai quattro venti che rimuoverà gli stemmi solo se glielo ordina lui. Ma se Bossi, pur di mettere fine alla polemica, glielo ordinasse, vorrebbe dire che gli amministratori leghisti obbediscono al partito e non allo Stato. E ne verrebbe fuori un conflitto istituzionale.

Il povero Lancini è quindi in una difficile situazione. Non sa come uscirne e soprattutto si sente abbandonato dal suo partito, al quale aveva dedicato gli ultimi quindici anni della sua vita. Aveva dato il cuore, alla Lega. E la Lega che cosa fa? Lo pianta lì da solo proprio nel momento del bisogno.
Provate a immaginare lo stato d’animo di Oscar Lancini nella giornata di lunedì scorso. Dal piccolo paesino della Franciacorta di cui è sindaco era andato – perbacco – fino a Milano, per parlare nientemeno che con Bossi. Sperava forse in cuor suo che Bossi gli dicesse di tenere duro.
O perlomeno sperava che il capo, se proprio doveva dirgli di rimuovere i Soli delle Alpi per quieto vivere, gli facesse, in privato e sottovoce, i complimenti, con la promessa di una ricompensa.

Invece niente. Bossi non s’è neppure fatto trovare. Quasi certamente non ha voluto mettere le proprie impronte in questo pasticcio; o forse s’è addirittura dimenticato dell’appuntamento, il che per Lancini sarebbe addirittura peggio. Tornato mesto mesto ad Adro, il sindaco ha convocato d’urgenza una giunta. Che cosa si siano detti, è un mezzo mistero. Addirittura Lancini ha dato ordine agli assessori di riferire ai giornalisti che lui alla riunione non c’era. Invece c’era, e da quel poco che è filtrato sembra che gli assessori abbiano cercato di indurlo a più miti consigli, ma lui avrebbe deciso la linea dura: “I Soli delle Alpi rimarranno dove sono, devono usare la forza per toglierli!”.

Da quel giorno Oscar Lancini s’è chiuso in una specie di bunker psicologico. Ha smesso di rispondere al cellulare ai giornalisti (fino a lunedì mattina, possiamo assicurare, rispondeva); l’altro ieri siamo andati a trovarlo in Comune e lui, che pure nei giorni dell’affaire-mensa ci aveva ricevuti con gentilezza, ci ha chiuso la porta in faccia.

E’ come se gli stesse crollando il mondo addosso. Oscar Lancini è uno che non ha avuto la vita facile. Suo padre, uno stimato imprenditore edile, morì in un incidente sul lavoro e lui si trovò a dover gestire, poco più che ventenne, la ditta. Provò a convertirla al business degli spurghi, ma andando incontro a un sacco di grane proprio con il Comune di Adro. A un certo punto decise di entrare in politica. E quando diventò sindaco, visse il paradosso di essere al tempo stesso parte e controparte nella causa che il Comune aveva con la sua impresa. Adesso che quell’impresa non c’è più, Lancini riponeva ogni aspettativa nell’amata Lega. Ma già l’anno scorso il partito gli ha fatto capire di non fidarsi troppo di lui. Infatti alle politiche del 2008 Lancini era il sedicesimo di una lista che portò quindici leghisti alla Camera. L’anno scorso però uno dei quindici eletti, Daniele Molgora, è diventato presidente della provincia di Brescia e avrebbe dovuto, o potuto, lasciargli il posto in parlamento. Non l’ha fatto. Per Lancini è stata la prima delusione. Ora la seconda e più tremenda, quella di sentirsi scaricato per troppo amore.
[Adro, il dramma del sindaco ultrà scaricato da Bossi - LASTAMPA.it]

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