venerdì 25 giugno 2010

Accordo di Pomigliano: due pareri diversi di due operai FIAT

Si parla di diritti dei lavoratori. Si parla di lavoro in una zona dove ci sono poche alternative per procurarsi da vivere e una di queste si chiama Camorra. Si parla di un accordo che prevede la cessione di diritti acquisiti da parte dei lavoratori per favorire il rientro di produzioni delocalizzate.
Il compito di un partito riformista come il PD è quello di interpretare la complessità della realtà per elaborare proposte attuabili. Questo approccio è spesso in contrasto con la ricerca del consenso ma fare politica con lo sguardo fisso ai sondaggi non è una peculiarità di chi si propone come alternativa di governo.
Per capire meglio pubblichiamo due interventi di due operai della fabbrica di Pomigliano. Due persone direttamente interessate che hanno pareri contrastanti sull'accordo.
Buona lettura.


«Fiera del mio voto Non era un accordo era un martirio» Maria Capasso, trentuno anni.
Maria Capasso ha votato «no» con rabbia, con convinzione, con una determinazione feroce e spavalda che è ancora un grumo denso a 24 ore di distanza. Quasi la tocchi con mano. Ha votato no perché non si fida più di nessuno, men che mai di Marchionne. Ha trentun anni e nessuna certezza, dietro l'angolo può esserci di tutto: «Potrei ritrovarmi in mezzo alla strada, lo so. Ma saprò risollevarmi. Alla mia età devi saperti risollevare». Ieri mattina è tornata al lavoro, reparto stampaggio, secondo turno, 14 - 22: «In questi quattro - cinque giorni al mese in cui mi fanno la grazia di farmi lavorare mi sento ancora addosso l’orgoglio di essere un’operaia Fiat». «Ho votato no senza essere iscritta né alla Fiom, né ai Cobas. Anzi, non sono iscritta a nessun sindacato. Mi è bastato un anno e mezzo di militanza, alla fine ho deciso che nessuno meritava più la mia fiducia. E i miei soldi. Non mi ero sbagliata: qualcuno ha messo la firma al posto mio, e mi sono ritrovata iscritta a mia insaputa. Me ne sono accorta dalle trattenute in busta paga: tredici euro al mese, prelevati senza autorizzazione. Ho montato un casino, mi sono fatta rimborsare». «Vengo da Giugliano, prendo l’Asse mediano per risparmiare sul pedaggio autostradale. Soprattutto di notte fa paura, ma con quello che guadagno devo calcolare anche i centesimi, e ho cominciato a tagliare di tutto, non solo il superfluo. Correndo anche qualche rischio, certo. Ho deciso di votare no quando l’azienda mi ha recapitato il papiello di Garofalo (il direttore dello stabilimento, ndr). Me lo sono letto attentamente: ci sono alcune cose, pochissime per la verità, che si possono digerire, ma mi sono inceppata sulla storia dei corsi di formazione a spese nostre». Cioè? «Vengo da diciannove mesi durissimi, faccio i salti mortali per tirare avanti, e ora l’azienda che mi chiede? Di partecipare all’ennesimo corso di riqualificazione, perché dobbiamo produrre la Nuova Panda. Mantenendomi in cassa integrazione straordinaria: meno di ottocento euro al mese, perché non ho gli assegni familiari. Mi è sembrata una colossale presa in giro. Per formarmi, dopo nove anni di Fiat, devo rimetterci di tasca mia: assurdo, e con che cosa campo, poi?». E poi c’è la storia del fermo - linea, che a Maria non è andata giù: «Marchionne c’impone il martirio, non un semplice sacrificio. Chiederci di recuperare i fermo linea riducendo la pausa pranzo a fine turno è disumano. Ci sono colleghi che, per entrare in fabbrica alle sei, si alzano alle quattro. Con questa organizzazione del lavoro, non toccherebbero cibo per 12 ore. Siamo oltre la soglia di crudeltà». POMIGLIANO D’ARCO (NA)
[Articolo di di Mas.Am. pubblicato su L'Unità del 24 giugno 2010]

Si definisce «orgogliosamente e testardamente comunista» ha votato sì «a testa alta».
Si definisce «orgogliosamente e testardamente comunista». Senza tessera: non rinnova più quella del Prc da due anni. Ha votato sì «a testa alta». «Non ho niente di cui pentirmi: sono iscritto alla Fim (i metalmeccanici della Cisl, ndr), e penso che il mio sindacato abbia dato prova di grandissima responsabilità siglando l'accordo con la Fiat». Gerardo Giannone ha meno di quarant'anni, un pizzetto molto ideologico e una convinzione, da cui ha fatto discendere la sua scelta al referendum. «Se chiude la fabbrica consegniamo 17 mila persone alla camorra: 17 mila potenziali arruolati tra addetti diretti, indiretti e indotto. Una moltitudine a rischio di passare, armi e bagagli, dalla parte dell’antiStato. Essere comunisti, oggi, significa questo: preoccuparsi delle condizioni di contesto. E noi tutti, in questo territorio, siamo seduti su una polveriera». Lavora alla verniciatura, Gerardo: «Io il conflitto lo porto dentro la fabbrica tutti i giorni, lottando per migliorare le condizioni di lavoro dei compagni. Non mi tiro indietro, mai. La smobilitazione del Giambattista Vico farebbe crollare del 20% il Pil della Campania: i dati macroeconomici ci dicono questo, il resto sono chiacchiere. E chiacchiere e tabbacchere ‘e legno ‘o Banco ‘e Napule nun ne ‘mpegna'. Gerardo è un fiume in piena, quasi impossibile fermarlo: «Autoconfinarsi nella ridotta massimalista significa, per una parte del sindacato, favorire il disegno di questo governo e di questa maggioranza, teso ad eliminare dalla scena politica e sindacale ogni forma di dissenso organizzato. Così veramente nessuno disturberà più il manovratore. Siamo già fuori del Parlamento, vogliamo farci cacciare anche dalla fabbrica? Io con Marchionne voglio continuare ad averci a che fare, voglio continuare a contrappormi a lui su tutto: sugli orari, gli scioperi, le malattie, i turni, le condizioni di lavoro». «Mi alzo alle quattro e mezza tutte le mattine per venire a lavorare, per essere alle cinque e mezza ai cancelli. Sette ore e quaranta: quando sono entrato in fabbrica non c’era nemmeno l’aria condizionata, si schiattava di calore. Col tempo le condizioni sono cambiate, succederà anche stavolta se saremo intelligenti e il sindacato, Fiom compresa, ritroverà compattezza e unità d’intenti. Il potere negoziale si costruisce così, stando uniti, non dividendosi. Questo accordo, se supererà l’ostacolo del referendum, può essere gestito in maniera tale da non compromettere nessuna delle conquiste fatte dai lavoratori negli ultimi quarant'anni. Ma sarà fondamentale esserci, in fabbrica».
[articolo pubblicato su L'Unità del 23 giugno 2010]

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